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RACCONTO CONDIVISO

INCIPIT IO NON HO PAURA DI  NICCOLO' AMMANNITI

 

Stavo per superare Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava. Mi sono girato e l'ho vista sparire inghiottita dal grano che copriva la collina. Non dovevo portarmela dietro, mamma me l'avrebbe fatta pagare cara.

Mi sono fermato. Ero sudato. Ho preso fiato e l'ho chiamata.  -" Maria?Maria?"

Mi ha risposto una vocina sofferente. - "Michele!"

-"Ti sei fatta male?"

-"Sì ,vieni"

-"Dove ti sei fatta male?"

-"Alla gamba"

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-"Come hai fatto?"

-"Stavo cercando di raggiungerti correndo ma mi sono distratta con una coccinella e sono inciampata."

-"Allora cerca di farti vedere o sentire in qualche modo!"

-"In che modo?"

-"Cerca di muovere le piante di grano che hai intorno"

-"Inciampandomi mi sono incastrata in un cespuglio e non riesco più ad alzarmi."

-"Allora cerca di urlare più forte che puoi!"

-"Lo sto già facendo!"

Ad un certo punto si sentì il rumore di un motore e Maria che urlava: "Aiutami!", la terra iniziò a tremare e Michele iniziò a spaventarsi e pensare a una futura invasione di zombie mangia cervelli... ma in realtà era una navicella aliena che si stava innalzando come un fungo cresciuto dalla terra, con sua sorella sul tetto.

Allora a quel punto Michele si diresse verso Maria per aiutarla solo che dietro di lui arrivò un alieno e lui non lo vide.

Appena lo avvistò iniziò a scappare però quello lo prese e lo intrappolò, riuscì a scappare con la sua sorellina  verso un posto sicuro.

Michele disse:

-"Ti avevo detto di non allontanarti! Ti avrebbero portata via... come lo spiegavo a mamma? Meno male che ora sei qui al sicuro"

-"Mi sono spaventata tanto, voglio tornare a casa" disse Maria

-"Riesci a camminare?"

-"No, ho preso una storta e mi fa male la caviglia"

-"Vieni, ti porto a spalle"

-"Okay. Solo che sono un po' pesante, sono un peso morto"

-"Non ti preoccupare, lo sai che io faccio palestra e riesco di sicuro a portarti"

-"Ho avuto solo un po' paura per te, perché pensavo che avrebbero trovato e ucciso"

-"Non dovevi preoccuparti per me,  ma di sicuro dovevi stare attenta a non farti più male"

Questa storia insegna che è meglio prevenire che curare, quindi Maria sarebbe dovuta rimanere a casa così non si sarebbe fatta male.

INCIPIT IL PROFUMO DI PATRICK SÜSKIND

 

Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure.

Qui sarà raccontata la sua storia.

Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali oggi è caduto nell'oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

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Al  tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni.

Grenouille era solito camminare per le vie della città cercando di capire, giorno dopo giorno, da dove provenissero tutti quei cattivi odori. Ad un certo punto sul ciglio della strada, notò un cadavere a terra, posizionato molto vicino ad un tombino, al quale era legato un palloncino rosso che fluttuava nell'aria. Avvicinandosi sempre di più alla fogna, Grenouille percepiva un odore sgradevole, sempre più intenso. Incuriosito,  Jean scese nel sottosuolo per scovare il luogo da cui quegli odori avevano origine. 

Scendendo, Jean si ritrovò in una buia stanza dove l'odore era soffocante si ricordò che nella tasca del giubbotto giallo aveva un accendino e appena lo accese per fare luce vide una montagna di corpi in via di decomposizione. In preda al panico cercò la luce del tombino per scappare ma scivolò, perdendo così i sensi. Quando si risvegliò capì di non essere l'unico ad aggirasi in quel posto. Guardandosi bene intorno vide un sacco di gente incatenata che pregava di non essere scelta. Così chiese a quello che gli stava vicino: "Perché pregano ?"

e lui rispose :"Perché il mietitore ogni giorno seleziona un candidato"

"Per cosa?"

" Per torturarlo! Il prescelto lavorerà tutto il giorno sotto il sole e avrà a disposizione solamente un bicchiere di acqua. Dovranno tagliare l'erba nel campo, oppure raccogliere quella già secca in fasci e poi trasportarla nel fienile"

Quel giorno la cattiva sorte volle che il prescelto fosse lui, all'inizio l'idea lo preoccupò molto, e vedendo le facce sollevate degli altri, capì che sarebbe stata una giornata lunga e faticosa.

Subito gli dissero di mettersi a raccogliere tutti i cadaveri e ad abbandonarli all'acqua di fogna.

Siccome Jean aveva le cesoie a disposizione per potare i cespugli sotterranei, si oppose agli incarichi del mietitore e andò a cercare quest'ultimo per ucciderlo. Armato di cesoie si diresse verso di lui, aprì le cesoie e con un coraggioso atto, staccò la testa a quel maledetto. Insanguinato, tornò dai suoi nuovi compagni e con le stesse cesoie, tagliò le catene a quest'ultimi rendendoli liberi.

Da quel giorno, nessun altro venne ucciso dal mietitore e di conseguenza nessun cadavere in decomposizione poteva impuzzolentire la città, la quale era tornata a profumare, passando da "fugace regno degli odori" a "regno dei profumati fiori".

INCIPIT I PILASTRI DELLA TERRA DI KEN FOLLETT

 

I bambini vennero presto per assistere all'impiccagione. Era ancora buio quando i primi tre o quattro uscirono furtivamente dai casolari, silenziosi come gatti nei loro stivali di feltro.

Uno stato di neve fresca copriva il paese come una nuova mano di colore e le loro orme furono le prime ad intaccarne la superficie immacolata. Passarono tra le casupole di legno camminando sul fango ghiacciato delle viuzze e raggiunsero la piazza del mercato dove attendeva la forca.

 

 

 

La forca era una delle più vecchie e subito arrivati, i ragazzi, iniziarono a prendere il fieno da terra caricandolo lì sopra.

Il fieno era appena stato raccolto e quindi era ancora morbido. Subito si misero al lavoro anche se era un po' pesante.  Erano dei mucchi molto grandi e questi dovevano essere trasportati dalla piazza del mercato fino ad una stalla là vicino.

Dopo un po' di tempo finirono di spostare quei grandi mucchi, mettendoci tutta la forza che avevano senza esitare. Aiutavano il contadino lì vicino, che era vecchio per fare questi lavori. Sul terreno si scivolava un po' e dovevano fare attenzione a non cadere.

I bambini, facendo attenzione a dove mettevano i piedi, abbandonarono la zona nella quale erano presenti svariati animali, come cavalli, maiali, pecore, capre e galline, le quali stavano appollaiate in un angolo della stalla. La stalla era molto graziosa ma aveva un piccolo difetto, aveva delle tendine con dei piccioni e dei procioni disegnati sopra...

I bambini mentre osservavano la stalla emisero un urlo: avevano trovato un sacco a forma di uomo. Il bambino più coraggioso, Giuseppe disse: "Peppe"; decise di aprire il sacco, con molta paura si fece avanti.

Dentro, contrariamente a ciò che pensavano, c'erano solo vestiti sporchi, stracciati e in condizioni disastrose. Chissà cosa ci facevano lì?

INCIPIT PADDY CLARKE, AH! AH! AH! DI RODDY DOYLE

 

Venivamo giù per la nostra strada. Kevin si fermò ad un cancello e col bastone gli mollò un colpo. Era il cancello della signora Quigley; quella stava sempre alla finestra ma non faceva mai niente.

"Quigley! Quigley! Quigley!"

Liam e Aidan svoltarono per il viottolo di casa loro. Noi non dicemmo una parola; loro neanche Liam e Aidan non avevano la mamma. La signora O'Connell, così si chiamava, era morta.

"Sarebbe forte, no?" dissi io.

"Sì", disse Kevin. "Fortissimo"

Parlavamo del fatto di avere la mamma morta.

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Mentre stavamo parlando alla nostra destra apparvero due demoni, io e Kevin vedendoli scappammo e percorremmo la strada al contrario.

Ad un incrocio però non sapevamo dove andare e allora ci dividemmo e alla fine ci trovammo in mezzo alla strada con nessuno dietro che ci inseguiva, iniziammo a ridere e scherzare sulla "visione" che avevamo avuto entrambi.

Il giorno seguente io e Kevin ci trovammo a casa mia, stavamo giocando con la playstation e ad un certo punto la luce e la TV si spensero.

Urlammo per lo spavento, dopo di che mi alzai e andai a riattaccare il contatore. Appena tirai su la levetta per far ripartire la corrente questa scattò nuovamente, all'inizio pensai che fosse normale, ci riprovai ma niente, poi mi accorsi di non essere solo, vidi un'ombra muoversi attorno a me, gridai: "C'è qualcuno?" ma nessuno rispose.

Pensando che fosse di nuovo una visione subito mi strizzai gli occhi e riguardai nel punto in cui c'era l'ombra, e la vidi... mi fissava ancora di più di prima.

Vicino a me notai un ombrello e lo afferrai immediatamente, feci dei movimenti molto bruschi. Nella cantina c'era una finestra, da dove entrava un po' di luce, e subito lui venne verso di me. Vidi che man mano avanzava, io indietreggiai per la paura.

Corsi, così, verso la luce sperando in una via di fuga.

Per fortuna il destino era dalla mia parte e appena svoltato l'angolo vidi una porta di legno. Visto che l'unica via d'uscita apparentemente sembrava quella che avevo davanti, mi avvicinai e uscii da quella porta. Quello che avevo davanti, una volta aperta la porta, era qualcosa di mai visto prima...

Un'enorme sagoma nera con le corna e gli occhi rossi i quali mi ipnotizzarono. Svenni.

Quando mi risvegliai c'era ancora quella sagoma, ma stavolta non la guardai negli occhi.

Appena presi un po' di coraggio, mi alzai e cercai di capire che cosa fosse.

Scoprii che questa sagoma era un orso di peluche enorme, molto inquietante.

Alla fine tutta questa paura per niente.

INCIPIT LE CENERI DI ANGELA DI FRANK MAC COURT

 

Era meglio se i miei restavano a New York dove si sono conosciuti e sposati e dove sono nato io. Invece se ne tornarono in Irlanda che io avevo quattro anni, mio fratello Malachy tre, i gemelli Oliver e Eugene appena uno e mia sorella Margaret era già morta e sepolta.

Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un'infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto.

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Tutto ha avuto inizio con l'incidente in cui è morta Magaret, allora io avevo appena un anno, dopo quel giorno mia madre si chiuse in casa e divenne iperprotettiva nei miei confronti, mio padre dovette iniziare a lavorare il doppio, dato che senza lo stipendio della mamma era difficile andare avanti.

Mia sorella aveva a malapena cinque anni, mi dicevano sempre che era una bambina molto solare, maldestra e vivace, con dei grossi occhioni verdi e dei ricci rossisimi. Di lei mi raccontavano molte cose e, visto che era rispettosa e sicura di sé, andava sempre d'accordo con tutti e faceva amicizia con chiunque incontrasse, i miei genitori ancora oggi non sanno spiegarsi come sia potuto accadere quell'imprevisto. Loro volevano che io diventassi come lei, una ragazza gentile, ma anche intelligente, per prendere le decisioni più giuste. Chiedevo spesso di raccontarmi di lei, come se fosse il mio argomento preferito.

Avevo chiesto tutto di Margaret, tranne un particolare. Come era morta?

Un giorno mi feci coraggio e con più tatto possibile riuscii a porre la fatidica domanda ai miei genitori.

Mi dissero che era morta in un incidente per colpa del vicino, Jack, che l'aveva investita facendo retromarcia, mentre lei andava sul triciclo con il nostro gattino Stich, che è sopravvissuto all'incidente.

Non ci capivo niente, era diventato tutto così strano e confuso. Non capivo come fosse potuto succedere, Margaret era morta e Stich era sopravvissuto. Come era possibile?

Il punto è che ancora oggi quando guardo quello che una volta era un piccolo batuffolo di pelo non riesco a non pensare a Margaret.

INCIPIT DI NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI DI FABIO GEDA

 

Il fatto, ecco, il fatto è che non me l'aspettavo che lei andasse via davvero. Non è che a dieci anni, addormentandoti la sera, una sera come tante, né più oscura, né più stellata, né più silenziosa o puzzolente di altre, con i canti dei muezzin, gli stessi di sempre, gli stessi ovunque a chiamare la preghiera dalla punta dei minareti, non è che a dieci anni - e dico dieci tanto per dire, perché non è che so con certezza quando sono nato, non c'è anagrafe o altro nella provincia di Ghazni - dicevo, non è che a dieci anni, anche se tua madre, prima di addormentarti, ti ha preso la testa e se l'è stretta al petto per un tempo lungo, più lungo del solito, e ha detto: Tre cose non devi mai fare nella vita, per nessun motivo.

 

 

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L’ho cercata per anni senza alcun risultato e ogni giorno mi ponevo tante domande, ad esempio:”Dove sarà finita? Avrà altri figli? Mi penserà ancora?...

Ogni notte prima di addormentarmi pensavo a lei e provavo a ricordare il suo volto sorridente, ma niente, c’era solo il vuoto più totale. Vivevo con i miei nonni paterni, di mia mamma non sapevano tanto, ma quello che si ricordavano per me era fondamentale per ritrovarla. Non avevo nient’altro e nessun altro che mi aiutasse a ritrovarla e ogni giorno cercavo di elaborare quelle poche informazioni e trovare qualche altro indizio che mi aiutasse a riabbracciarla. Ma niente, pensavo alle ultime parole che mi avevo detto, ma nessun indizio, solo un volto astratto con un sorriso smagliante.

Chiedevo a mio padre di lei ma ogni volta che la nominavo, lui parlava di altri argomenti e allora lasciavo stare. Ogni giorni ci provavo, ma lui mi nascondeva sempre di più la verità. Come se non ricordasse niente di mamma, ma solo di aver condiviso la sua felicità con una donna qualunque. Questo a me dispiaceva tanto. Poi un giorno, in un vecchio scaffale a casa dei miei nonni trovai una cartolina: su di essa era raffigurata la città di Kabul. Girai la cartolina,notai un commento: “Ciao cara,spero di rivederti un giorno. Con affetto Manal”

Con il consenso dei miei nonni intrapresi un nuovo viaggio; ero determinata a cercare mia madre... alle 12 e 30 presi il primo cammello per Kabul. Il viaggio è stato faticoso perché mi trovai ad affrontare molti problemi, come tempeste di sabbia, carenza di cibo e acqua, il troppo caldo di giorno e il gelo di notte.

La mattina seguente partii da un'oasi che avevo trovato,ebbi un incontro con un cobra e avendo la paura dei serpenti cominciai ad andarmene di lì con molta cautela...

INCIPIT DI CENT'ANNI DI SOLITUDINE DI GABRIEL GARCIA MARQUEZ

 

Molti anni dopo, di fronte al protone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.

Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preoistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle con il dito. Tutti gli anni, verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni.

 

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Arrivò il mese di marzo e gli zingari stavano già montando la loro tenda; tiravano fuori la loro prima invenzione dell'anno: la "ROBAMPED", ossia una lampada a led, capace di muovere le braccia di metallo grazie all'energia solare.

Quest'invenzione attirò l'attenzione della gente che stupita e meravigliata la provò. La Robamped con il movimento delle braccia distribuiva crepes alla Nutella. Allora il popolo, molto contento di quest'idea iniziò ad ingrassare a furia di mangiarne. Oltre alle crepes, questo braccio meccanico distribuiva orsetti gommosi alla frutta, solamente che non piacevano gli orsetti gialli, e quindi li rilanciarono indietro. Tutti gli orsetti gommosi rifiutati a furia di accumularsi crearono un'energia che formò un enorme orsetto gommoso, il quale per vendicarsi iniziò a mangiare tutti gli zingari che lo rifiutarono.

Gli unici rimasti erano bambini, perché sappiamo che i bambini non dicono mai di no alle caramelle, l'unico problema era che non erano in grado di azionare il macchinario che produceva crepes. Questo problema scatenò la furia degli abitanti del villaggio che ne erano ghiotti di.

I bambini visto che avevano fame ad un certo punto, e che nel frattempo erano diventati più grandi, iniziarono a costruire delle frecce per battersi contro l'enorme orsacchiotto che ormai era diventato vecchio. Però diventò più grande e ancora più forte di prima e poteva batterli senza problemi.

I bambini scapparono il più lontano possibile da quella città in modo che l'orsacchiotto ci impiegò anni per raggiungerli. I ragazzi si stanziarono a circa 112 km di distanza quando un giorno videro un'enorme figura in lontananza. I ragazzi spaventati corsero nelle loro case, solo Ernesto rimase fuori coraggiosamente. L'orsetto gommoso gigante era lì, di fronte a lui; dietro a quest'enorme caramella sbucarono da terra altri orsetti gommosi che iniziarono a divorare i ragazzi e a distruggere tutte le abitazioni. Rimase solo Ernesto in vita, perché fu premiato per il suo coraggio e la sua audacia.

INCIPIT LA MIA AFRICA DI KAREN BLIXEN

 

 In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altopiani del Ngong . A un centocinquanta kilometri  più a nord su

quegli altopiani passava l'equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo.

 

 

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Tutte le mattine mi alzavo e andavo a dare da mangiare agli animali della fattoria, c'erano anche maiali, capre e pecore.

Verso l'ora di pranzo mi dirigevo verso il centro del paese, per comprare l'indispensabile per la sopravvivenza. Verso le 4 del pomeriggio andavo  a rifornirmi di legna per la notte, dovevo procurarmi anche il materiale per il fuoco (erba secca, piccoli rami) perché la sera faceva freddo e cacciavo per mangiare qualcosa.

Usavo le tecniche che mi aveva insegnato mio nonno e mio papà anni prima.

Un bel giorno decisi di andare sopra la fattoria dove si trovava una foresta, una leggenda su di essa si tramandava da ormai un secolo, ma nonostante ciò decisi di visitarla per catturare qualche animale da aggiungere alla mia fattoria.

La leggenda narrava che in quella foresta oltre ad animali fossero presenti le creature più strane e pericolose.

Mi portai un arco e una faretra piena di frecce, i viveri necessari per  una giornata intera e qualche borraccia d'acqua in più in caso di bisogno. Arrivato alla foresta mi sembrava tutto normale anche se si nascondeva qualcosa di oscuro sotto di essa. Tirai fuori l'arco, incoccai una freccia e mi addentrai dentro quella foresta di cui tanto si parlava.

Appena entrato vidi che c'erano dei segni sugli alberi, come se qualcuno fosse già passato di lì. Mi addentrai nella fitta foresta e vidi subito che al fondo di un sentiero c'era una grotta oscura, silenziosa e sinistra. Ero molto incuriosito, ma avevo anche molto timore di sapere cosa c'era all'interno.

Una voce dentro alla mia testa mi diceva di non entrare, ma... come sempre prevalse la mia curiosità ed entrai.

In fondo al tunnel vidi una luce abbagliante e proseguii verso di essa, scoprii che c'erano tantissimi animali alati tra cui unicorni, asini volanti e tutto era custodito da delle minuscole fatine.

Purtroppo non era davvero così. La leggenda spiegava che quella grotta era fatta di illusioni. Gli unicorni, in realtà, erano mostri  terrificanti e così ogni altra cosa presente lì.

Scoprì dei resti di ossa e dei sacchetti sparsi all'entrata e una gigantesca roccia con scritto: "Non è mai tornato nessuno, PENSACI."

Lì ero a un bivio. Avrebbe vinto la mia curiosità o il mio buon senso?

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